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ARTICOLO DEL 18.12.2024 [Tempo di lettura: 5 min.]

A cura di Federico Pasqualoni

Il mondo della famiglia

Le figure familiari che fanno parte della vita di un giovane, tra tutte quelle che incontra nel suo cammino, hanno il potere di impatto più duraturo e quindi sono le più responsabili per la sua educazione. 
Ogni famiglia, sulla base dell’obiettivo che vuole raggiungere con il suo agire, decide quali sono gli approcci da adottare. 
Le modalità con cui i genitori si rapportano alle esperienze del figlio, cambiano le direzioni verso cui indirizza i suoi pensieri a riguardo, influiscono sulla scelta delle proprie azioni, e quindi in generale hanno un ruolo fondamentale nel determinare i suoi interi percorsi.


Sulla base di questo, nel momento in cui il figlio è un giovane che pratica Sport, è nota e dimostrata l’influenza delle figure familiari sul suo vivere l’esperienza sportiva.
Difatti, la famiglia ha il potere di modificare i livelli di motivazione, di divertimento, e di quel senso di autonomia fondamentale a creare le giuste condizioni di crescita. 
Sotto un punto di vista naturale, alla famiglia di ogni specie animale è richiesto il raggiungimento dello stesso obiettivo:  condurre il proprio figlio ad essere indipendente e quindi grado di staccarsi dal nucleo famigliare.
Facendo un discorso antropologico, è anche giusto dire che nella specie siamo l’animale più intelligente in assoluto ma anche quello meno indipendente, e quindi meno abituato alla libera esplorazione.
Purtroppo, anche in relazione al percorso sportivo dei figli, l’abitudine generale dei genitori a cercare un ruolo attivo è molto frequente. 
Quando il genitore agisce da protagonista, toglie allo sport giovanile la rara capacità di creare per il figlio attimi di libera esplorazione: la via per l’indipendenza.

L'autoefficacia

Il concetto di autoefficacia (self-efficacy), introdotto dallo psicologo canadese Albert Bandura, descrive la consapevolezza di poter fare, sentire, essere, esprimere o divenire qualcosa.

Si tratta di un desiderio umano innato e inconscio che, soprattutto in adolescenza, conduce a ricercare motivi per sentirsi competenti e capaci.

La creazione delle giuste condizioni di educabilità nelle età sensibili è fortemente influenzata dai livelli di autoefficacia, e le famiglie hanno la responsabilità di far sentire liberi ed autonomi i ragazzi affinché possano riuscire ad acquisirne.

Intrusione e immedesimazione famigliare, e responsabilizzazione esagerata

Ogni genitore decide di adottare dei comportamenti diversi sulla base del ruolo che attribuisce alla pratica sportiva nella vita del proprio figlio.
Quando l’attribuzione del ruolo non proviene primariamente da una profonda consapevolezza dei suoi benefici formativi e psico-fisici, è probabile che la pratica verrà approcciata nel mondo sbagliato e nasceranno delle tendenze familiari dannose.
I contesti sportivi, richiedono alla famiglia di lasciare con fiducia i propri figli sotto l’ala di tecnici e dirigenti, invitando a delegare loro una parte del compito formativo. 

Nel momento in cui i genitori non ripongono la fiducia necessaria a permettere che ciò avvenga, scatta la tendenza a intromettersi nel rapporto figlio-contesto sportivo, intervenendo su ciò che quest’ultimo dovrebbe o non dovrebbe fare.

E visto che è già di per sé complesso distaccarsi dalla famiglia, i giovani fanno più fatica a sentirsi pronti se essa risulta troppo coinvolta nel rapporto atleta-società.


Il coinvolgimento della famiglia può essere anche nel rapporto che intercorre tra atleta e prestazione.
In determinati casi, infatti, i genitori si immergono troppo nella pratica sportiva dei figli, la sentono anche propria e mostrano un coinvolgimento emotivo esagerato che li rende tutt’altro che imparziali.

Spesse volte, questa tendenza ha radici nella considerazione del percorso del figlio come un potenziale modo per raggiungere gli obiettivi che il genitore, da sportivo, non ha potuto raggiungere.
I genitori che si immedesimano troppo nel percorso del figlio, prendono indistintamente le sue parti e avviano spesso un meccanismo giustificativo che non lo responsabilizza dei suoi errori.
Questi ultimi non dovrebbero mai essergli nascosti, perché è dagli errori che si scoprono i limiti, e quindi si misura la crescita.
 

 

In altri casi ancora, per il fattore culturale di cui abbiamo discusso nel relativo articolo, alcuni genitori attribuiscono allo sport un ruolo legato ai risultati sociali potenzialmente raggiungibili. L’approccio che ne consegue, a prescindere dai fatti comportamentali, carica sulle spalle dei figli una responsabilità esagerata nei confronti delle loro prestazioni sportive.

A volte i genitori sono talmente interessati ai risultati “da campo”, che il figlio percepisce più o meno affetto in relazione al loro riuscito o mancato raggiungimento. E’ triste, ma vero.
E’ facile a questo punto condurre il giovane ad avvertire delle pressioni molto importanti che minacciano pericolosamente il necessario e sano divertimento.

 

Per chiudere, lo sport è da intendere come un alleato dei genitori in quanto mezzo per arrivare all’emancipazione, che deve però essere assistita e incentivata dal nucleo famigliare.
Il genitore, infatti, dovrebbe assumere una posizione di equilibrio tra l’essere esterno, comportandosi da spettatore o ascoltatore, e l’essere interno, ossia agendo da supporto costruttivo.

Questo perché è molto importante che il giovane si avvicini a figure diverse (come gli allenatori), affinché possano ricevere degli input che dalla famiglia potrebbe non voler ricevere.
Solo il giovane che vive la pratica sportiva tra indipendenza e protezione, potrà lavorare sul “sentirsi capace”, e quindi affrontare con più forza la sfida del passaggio “bambino-adulto”.

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