QUINTA FORZA

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Chiacchierando con:

Alessandra Monforte

Allenatrice UEFA A Futsal, Presidente di Società Sportiva

Pubblicato il: 26 novembre 2025

A cura di: Federico Pasqualoni

© 2025 Pais – Tutti i diritti riservati.

Sulla distanza tra sessi nel Futsal e sullo sport come scuola di uguaglianza.

L'INTRODUZIONE

In generale, tra tutto ciò che vive c’è un’uguaglianza nel possesso del principio vitale che rende vivi. Da qui, ogni altro elemento crea differenze che rendono ogni specie vivente meravigliosamente unica. Tra esseri umani, la prima differenza sostanzialmente biologica che viene in mente è quella del sesso. Nel corso della storia, ogni società ha attribuito a questa differenza significati diversi, per causa di proprie dinamiche sociali e con conseguenze sulla minore o maggiore distanza tra le parti. Il fenomeno sportivo, specchio della società, manifesta delle distanze tra i sessi che appaiono a loro volta in misura diversa da sport a sport.
Su temi di questo tipo, pensare di uniformare la cultura di ogni disciplina sportiva e avere un’unica visione, sarebbe bello ma utopico. Ogni disciplina sportiva, infatti, ha una dimensione culturale propria, e quindi un modo diverso di vedere anche il coinvolgimento dei due sessi.

Io però sono amante dello sport per motivi che vanno ben oltre la mia disciplina e il mio percorso sportivo, e ho fiducia nelle sue possibilità di cambiare le percezioni culturali. Anche quelle che per grandezza, richiedono tanta volontà e tanto tempo.
Credo fortemente nel suo impiego per il sociale, e in quelle qualità nobili che mantiene nonostante siano spesso nascoste da interessi che in nobiltà lasciano a desiderare. Tra queste, metto tra i primi posti i suoi “principi democratici”. Lo sport, infatti, ha nel suo seme la partecipazione e l’uguaglianza. Ovvero l’obbligatoria uguaglianza di ogni essere umano, uomo o donna, davanti alle regole del gioco e l’aperta partecipazione con un ruolo in cui esprimere sé stessi. Ed è proprio in questo, che lo sport ha un enorme potenziale come scuola di uguaglianza e demolitore delle differenze di ogni tipo.

Questo è un tema caro per me, da iniziare a trattare in questo spazio editoriale, e per questo motivo ho fatto qualche domanda ad Alessandra Monforte per la sua esperienza diretta. Io e Ale ci siamo conosciuti nel 2019, tra le aule e i campi del corso di abilitazione per allenatori di settore giovanile “UEFA Grassroots C Licence”.
Alessandra è fondatrice della Futsal Basic Academy e Tecnico FIGC con licenza A per il Futsal. Mi piacciono il suo lavoro, i suoi modi e i suoi pensieri, e sono contento di averla qui per questo contenuto.

IL CONTENUTO

Ale, ad oggi, parlando del movimento sportivo di cui fai parte, quanta è, se c’è, la distanza che vedi tra i sessi? Ricordi dei momenti in cui nel tuo percorso da atleta, nelle tue esperienze formative o in ambito educativo, ti sei imbattuta con questa distanza

È una domanda complessa. Ad oggi, la distanza c’è, sebbene sia molto meno marcata rispetto al passato e si manifesti in modi più sottili. Non parlo tanto della possibilità di praticare – che per fortuna è largamente accessibile – ma piuttosto del riconoscimento, della visibilità mediatica e della disparità economica come atlete o responsabili. L’immagine di una donna in campo, che sia un’atleta di alto livello, un’allenatrice o, come nel mio caso, un presidente di una società sportiva (N.d.R. – La disciplina è il Futsal e la società è la Futsal Basic Academy), è ancora spesso associata a ruoli di “supporto” o di contorno. La mia esperienza lo conferma: sui campi, mi è capitato spesso di essere scambiata per la massaggiatrice, la fisioterapista o la segretaria, e non per la figura decisionale che sono. Nel nostro sport, questo pregiudizio porta per me a un giudizio sistematico: la presenza della figura di un uomo è percepita come coerente, quella di una donna, no. Si associa facilmente a “scarsa competenza”. Ma non è il sesso a indicare la professionalità; ciò che conta è l’impegno, lo studio e l’esperienza. È un giudizio che si porta anche in campo. Il gioco femminile, infatti, viene spessoetichettato come noioso, lento o di bassa qualità tecnica. Ricordiamoci che il lavoro sulle qualità atletiche e tattiche richiede sempre sacrifici, e le atlete spesso fanno sport ad alto livello parallelamente a un lavoro a tempo pieno. La svalutazione costante rende la distanza ancora molto reale.

Nel tuo lavoro quotidiano con i ragazzi e le ragazze con cui ti interfacci, e nel tuo contesto, come cerchi di utilizzare lo sport come strumento di uguaglianza?

Solo fino a pochi anni fa, in molte squadre di Futsal le bambine non venivano neanche accettate. Quelle che trovavano spazio, se dimostravano di essere “valide”, venivano utilizzate come “portieri”. Il motivo? Non creare confusione in campo, diceva chi doveva giustificare la scelta. Noi, come società, del cambiare questa abitudine ne abbiamo fatto una vera missione. Specialmente con i più giovani, approcciamo lo sport come un mezzo per spazzare via questi vecchi schemi, perché è una vera palestra di uguaglianza. Abbiamo tante categorie con squadre miste, e ti assicuro che, in campo, sono spesso proprio le bambine a fare la differenza, dando prova di una grinta e una voglia di dimostrare incredibili. Abbiamo circa 30 bambine, e nella nostra attività di base non abbiamo mai differenziato i gruppi in squadre femminili o maschili. Le nostre bambine si allenano, giocano in campionato e competono sempre con i loro pari età maschi. Spesso, il capitano in campo è una bambina, proprio per dare un segnale forte. E per dare loro un’ulteriore opportunità di crescita, partecipano anche a un campionato tutto al femminile. Nella nostra società, la regola è chiara: non esistono differenze, né si legano al sesso minori o maggiori “competenze tecniche”. Alla base c’è l’uguaglianza totale, la voglia di stare insieme e di divertirsi come un’unica grande famiglia. È così che si costruisce la parità, giorno per giorno, sul campo da gioco.

Quali sono i consigli che daresti ad una ragazza o un ragazzo che, non per sua volontà ma per condizionamento da retaggi culturali, si limita nell’esplorazione della sua disciplina sportiva preferita?

Il mio consiglio è di ascoltare la vostra passione, non la paura degli altri.

1. La tua passione è la tua unica guida e ricorda che lo sport è prima di tutto libertà espressiva e gioia personale. Se ti senti attratto da una disciplina, che sia la danza per un ragazzo o il rugby per una ragazza, significa che quella è la strada giusta per te. I retaggi culturali sono opinioni ereditate, non fatti universali. La tua esperienza vale più di mille pregiudizi.

2. Cerca modelli da seguire, se ti dicono che ‘non è uno sport per te’, cerca esempi di atleti che hanno rotto quegli schemi. Esistono donne fortissime nel sollevamento pesi e uomini incredibili nella ginnastica ritmica. Vedere che altri ce l’hanno fatta ti darà il coraggio di essere tu il prossimo a farlo.

3. Sii coraggioso, non perfetto. Uscire dalla ‘zona di comfort’ significa esporsi al giudizio. Ma ogni persona che ha raggiunto qualcosa di grande è stata prima criticata. La critica e il mormorio non sono un segno che stai sbagliando spesso sono un segno che stai facendo qualcosa di diverso e coraggioso. Se scegli la tua disciplina preferita, stai scegliendo la tua realizzazione personale. Lascia che siano la tua gioia e i tuoi risultati a parlare, vedrai che le chiacchiere svaniranno da sole. Rompi gli schemi.

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Alessandra Monforte

Alessandra è abilitata con licenza A Futsal a Coverciano. Il Futsal fa parte della sua vita da sempre, prima come giocatrice, poi come allenatrice e dirigente. E’ fondatrice e presidente della Futsal Basic Academy,  di cui allena anche la Prima Squadra Femminile. E’ anche tecnico del Centro di Sviluppo Territoriale di Genzano, docente di Educazione Fisica e Team Manager specializzata FIGC. Oggi porta avanti progetti nelle scuole, attività di formazione metodologica e tecnica, ed è impegnata nella diffusione e nell’insegnamento del futsal.