ARTICOLO DEL 11.11.2024 [Tempo di lettura: 3 min.]
A cura di Federico Pasqualoni
Un’introduzione al sistema educativo a 3
Per continuare a comprendere le modalità in cui il giovane atleta vive la sua attività sportiva, è necessario insistere sul quadro del contesto circostante. Iniziamo dunque menzionando l’impatto delle figure educative con cui ogni giovane atleta viene a contatto:
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Persone appartenenti al nucleo famigliare, riguardo alle quali non ha possibilità di scelta
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Persone che incontra casualmente nel contesto scolastico
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Persone che incontra, sempre in modalità accidentali, nel contesto legato alla società sportiva
Ognuna di queste tre realtà riveste il ruolo di agente educativo: il loro rapporto con il giovane atleta e la sua attività sportiva, insieme all’approccio utilizzato, incidono fortemente sul trasferimento dei valori e sulle modalità con cui il giovane giunge a considerare il ruolo dello sport all’interno della sua vita.
I valori dello sport, infatti, non sono a prescindere positivi: il significato che viene attribuito ai vari momenti sportivi è in grado di trasferire, e far acquisire, valori positivi o negativi, a seconda dell’approccio con cui li si vive.
E’ su questa premessa che si basa l’enorme responsabilità che hanno le figure che ruotano intorno ad ogni giovane atleta.
Le figure di riferimento dell’ambito famigliare, sportivo e scolastico, condividono lo stesso obiettivo primario: la sana crescita e la virtuosa educazione del giovane. O almeno così dovrebbe essere.
E’ questo il motivo per cui vengono inserite all’interno di quello che nella Galassia Sportiva chiamiamo Sistema Educativo, nel quale l’allenatore, il genitore e il docente, compongono il trio educativo del giovane atleta.
Ogni componente del trio svolge un ruolo all’interno della grande squadra che, se unita da una dinamica di complicità e dialogo, potrebbe correre insieme verso la stessa direzione.
I loro ruoli sono al contempo diversi: ognuno di essi possiede livelli differenti di responsabilità, potenzialità e limiti, nonostante il trio - nella sua interezza - sia fondamentale per offrire vari input formativi, potenzialmente complementari.
Purtroppo, e troppo spesso, capita però che gli agenti educativi perdano di vista l’obiettivo primario, sottovalutando o sopravvalutando il proprio ruolo, generando un meccanismo competitivo controproducente.
Spesso l’ideale di collaborazione risulta irraggiungibile perché la comunicazione tra di loro è pressoché inesistente.
Allenatori e docenti, per esempio, sono spesso inconsapevoli del loro potere di impatto. Questo perché da un lato è faticoso prendersi alcune responsabilità, e dall’altro perché la cultura in cui viviamo li ha spesso portati a mettere in priorità soltanto i ritorni personali.
Quanto appena descritto genera spesso un fallimento educativo, proprio perché allontana i tre ambiti agli occhi del giovane atleta, che dovrebbero invece essere connessi.
Lo stesso potere di impatto che genera delle conseguenze negative sulla motivazione alla pratica sportiva e sulla soddisfazione che ne deriva, può però invece - nelle condizioni ottimali - rappresentare una vera e propria salvezza per il giovane.
Infatti, quando la motivazione alla pratica si deteriora, o quando è indirizzata verso fini sbagliati, le possibilità di far cambiare rotta verso il meglio sono infinite. L’invito pedagogico che viene loro rivolto è teso alla salvaguardia di una corretta direzione, intensità e durata della motivazione, preservando il piacere nello svolgere l’attività sportiva.
Inoltre, proprio per le complesse peculiarità dell’età adolescenziale, è richiesta al trio un’attenzione maggiore affinché i giovani atleti possano sperimentare sé stessi e l’ambiente circostante, sentendosi sia autonomi, sia sicuri e protetti da un contesto in grado di facilitare la loro esplorazione.
Un’esplorazione che deve mirare alla conoscenza di sé stessi, nella quale è possibile trovare i propri valori ed essere in grado di trovare loro spazio.
A differenza di quello che erroneamente si pensa, educare non significa plasmare o cambiare, ma permettere di tirare fuori ciò che è già dentro. Significa condurre alla riflessione, al confronto con sé stessi e con gli altri, e al buon rapporto con l’emergere delle proprie emozioni.
L’etimologia della parola è chiara: dal latino educere - e (fuori) duco (condurre) - ovvero trarre fuori, guidare fuori. Una sfida meravigliosa quanto difficile, che per portare dei risultati positivi ha bisogno che ogni agente del trio educativo riconosca l’importanza del “collega/compagno di squadra” negli altri ambiti, abbattendo quei muri - oggi fin troppo alti - che non permettono la collaborazione. L’assenza di interconnessione e collaborazione tra i tre contesti educativi è un enorme peccato, poiché il buon lavoro svolto da ognuna delle figure potrebbe invece permettere l’esecuzione di un lavoro migliore per le figure di un altro ambito, sotto ogni aspetto: sportivo, educativo e umano. Il mio intento, nei prossimi articoli che descriveranno ogni singolo componente del trio educativo, è di descriverne le tendenze comportamentali, così da poter comprendere meglio le conseguenze sul vissuto del giovane atleta. Ci tengo a far notare che l’approccio adottato dal contesto famigliare e scolastico saranno considerati e affrontati da Pais solo in relazione all’attività sportiva, con attenta separazione dei ruoli e nel rispetto delle dinamiche private in cui è moralmente doveroso non entrare.